Datore di lavoro e lavoratore possono pattuire, durante un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, un patto di durata minima (o patto di stabilità). Si intende, quindi, una garanzia di durata minima del rapporto di lavoro, limitata nel tempo. Questo istituto non è disciplinato in nessuna normativa ad hoc.
Questo accordo può essere stipulato sia al momento dell’assunzione (patto di durata minima), sia in un secondo momento (patto di stabilità).
Attraverso questa clausola, il datore di lavoro e il lavoratore stabiliscono un periodo di tempo entro il quale si impegnano a non recedere dal contratto, allo scopo di assicurare una stabilità minima del rapporto di lavoro. La clausola può essere stipulata:
A favore del datore di lavoro, cioè si impegna a non licenziare il lavoratore entro il periodo stabilito, salvo l’ipotesi di giusta causa;
A favore del lavoratore, cioè si impegna a non dimettersi entro il periodo stabilito, salvo l’ipotesi di giusta causa;
A favore del datore di lavoro e del lavoratore, cioè le parti si impegnano reciprocamente, la prima a non licenziare, e la seconda a non dimettersi, entro il periodo stabilito, salvo l’ipotesi di giusta causa.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 14457/2017 prevede che, in caso di patto di stabilità stipulato nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, spetterà al lavoratore un corrispettivo che può essere stabilito liberamente dalle parti e può consistere in una maggiorazione della retribuzione o in un’obbligazione non monetaria, purché non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore.
Essendo un accordo tra le parti, il patto di durata minima o di stabilità può essere modificato in qualsiasi momento, ma solo con il consenso di entrambe le parti.
Si può verificare il recesso anticipato e ingiustificato (senza giusta causa o giustificato motivo) da parte di entrambe le parti:
Recesso ingiustificato da parte del lavoratore: è previsto il diritto al risarcimento del danno subito dal datore di lavoro, che può essere commisurato ai costi che quest’ultimo ha sostenuto per l’addestramento del lavoratore.
Recesso ingiustificato da parte del datore di lavoro: è dovuta la corresponsione al lavoratore a titolo di risarcimento del danno, delle retribuzioni che quest’ultimo avrebbe percepito qualora il rapporto non fosse stato risolto anticipatamente.
Nel primo caso, sarà il datore di lavoro che deve dimostrare il danno subito a causa dell’anticipato recesso del lavoratore dall’azienda. Poiché non è semplice da dimostrare, il datore di lavoro ha la possibilità di inserire, all’interno del patto, una clausola penale con la quale le parti pattuiscono che, in caso di recesso anticipato del lavoratore, questi sia tenuto a risarcire al datore di lavoro parte delle spese sostenute dal datore per l’addestramento e la formazione professionale.
Il recesso anticipato, senza giusta causa, non esclude l’onere del preavviso a carico del recedente che, in caso di recesso immediato, sarà tenuto a corrispondere anche l’indennità di mancato preavviso.

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